Mi sono fermato a guardare il mondo in quest’ora immobile di un dopopranzo che non conosce più il pranzare. Quest’ora di cicale, di vento caldo che soffia lento quasi a voler star fermo anche lui.
Non sarei più vento se mi fermassi, ma quest’aria è un sonno leggero che mi avvolge e io debbo fuggire, alzare un po’ di polvere, cercare un portico dove incanalarmi, ritrovare vigore. Per poi liberarmi di nuovo nell’aria, nel sonno leggero e di nuovo cercare due finestre aperte nelle pareti opposte di una casa “per fare un po’ di corrente” e ancora liberarmi nell’aria, nel sonno leggero.
In questo cielo di celeste sbiadito e il sole che è bianco, passo da un portico a una casa per continuare a esistere.
Sono un vento cittadino, un vento della controra d’estate, quel tempo che una volta sapeva di sugo e varecchina anche nei palazzi di periferia, dove la finestra della cucina e della sala rimanevano aperte “per fare corrente” e asciugare i pavimenti appena lavati.
Oggi sospiro sotto i portici. Sospiro delicato il mio, sollievo sulla pelle, un attimo sospeso, una pennellata di Degas tra l’odore di caffè e il fumo delle sigarette.
Continuo il mio camminare nell’aria e alzo qualche foglia finché il sonno leggero mi sorprende e nulla è più per me in quest’ora sospesa d’estate.