romanzospicciolo
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Filologico, romanzo spicciolo - Cap.XII

Il bello del viaggio

Ci sono viaggi belli perché il posto è bello, ci sono viaggi belli perché la compagnia è bella, ci sono viaggi belli e non sai esattamente perché sono belli. Però ti rimangono impressi come una magia. Inverno 2003: la Latina Volley prosegue nel suo secondo strepitoso campionato di A1, finalmente in un palazzetto adattato alle esigenze della prima serie. Conquista l’ingresso in Coppa Italia. Destinazione Bolzano. I tifosi reclamano, il Comune cede e mette a disposizione un pullman per raggiungere l’Alto Adige. Si parte a mezzanotte.

Silvia arriva a casa mia alle 23, sto preparando uno zainetto per le ore che ci aspettano. La notte precedente ho dormito pochino, penso che è meglio, così non farò tante storie per riposare sulla scomodità di un pullman che, per quanto gran turismo, offre un sedile e basta. Appuntamento davanti al Palazzetto dello sport. Ci sono anche Elisabetta, Francesca e Valeriano. La nottata si rivela poco confortevole come previsto però alle 9 siamo a Bolzano e capiamo di essere davvero arrivati quando vediamo venirci incontro un paio di giocatori. La partita si disputerà alle 15 e noi siamo pellegrini senza una dimora che si trascinano per le strade di una città dove fa meno freddo del previsto. Gaetano e Giovanni sono già sul posto, freschi e riposati ci accompagnano un tour di pub: che altro vuoi fare? Gaetano è preoccupatissimo per il suo gatto che, in un tentativo di evasione via finestra, si è fratturato una zampetta. Fortuna che da Latina arrivano notizie rassicuranti: il micio sta meglio, accetta le cure, ha capito che deve rimanere fermo. Brindiamo alla salute del gatto di Gaetano e alla sperata vittoria della Latina Volley, progettando di rimanere a Bolzano. Invece Latina perde e il pullman ha la pretesa di riportarci a Latina. Non ce la posso fare. Saluto Silvia, Elisabetta, Francesca e Valeriano e decido di partire il giorno dopo in treno. Sono in ottima compagnia. Siamo in sei a tornare in treno e c’è un signore che si rivela un gran conversatore. Nel senso che parla durante tutto il viaggio. È seduto davanti a me e io ascolto con interesse anche se verso Firenze vorrei che qualcuno mi desse il cambio, ma nessuno mi aiuta. Solo a Termini mi soccorrerà il cambio del treno. La domanda è: perché quel viaggio, una parentesi allucinata tra una notte in pullman senza chiudere occhio e un ritorno in treno senza un secondo di tregua, mi ha lasciato un bel ricordo? Non lo so, forse perché in quel momento quella compagnia era fantastica. Tutti uniti sotto il segno del volley con una leggerezza che la vita ti invidia. Ci godevamo, completamente al di fuori di ogni limite di età, l’ultimo scampolo di una adolescenza sognata, dove puoi fare come ti pare perché ormai sei adulto.

Ci sono viaggi belli perché hai deciso di sfidare l’ovvio e di salire sul treno in un giorno proibito facendoti largo tra valigie bifamiliari. Partenza intelligente? Preferisco di no, voglio gustarmi il controesodo. Voglio far parte della schiera di italiani che rientrano dalle due settimane a cavallo di ferragosto, quando le vacanze vengono dichiarate ufficialmente finite. Voglio tornare a Latina domenica 24 agosto - siamo nel 2008 - nonostante che tiggì, radiogiornali e quotidiani lo sconsiglino caldamente.

E voglio anche il brivido della non prenotazione anche perché gli Eurostar sono tutti pieni. No, non aspetto lunedì per tornare insieme agli italiani furbi. Ho deciso: mi metto in viaggio domenica mattina. Con calma, a un orario comodo comodo, con sveglia alle 9 e colazione da villaggio turistico. Sto in Calabria, esattamente ad Amantea, dove sono arrivata due giorni prima, alla stazione di Paola, con un vuotissimo Eurostar preso a Napoli. Prendo il caffè mentre la gente si fa il bagno a mare, forse hanno il treno nel pomeriggio. Io il treno non ce l'ho. Vittoria deve tornare a Potenza, intanto vado a Potenza con lei. Poi vediamo. Potenza è un po' più a nord, così mi avvicino, anche se in realtà faccio il giro del mondo perché vado a finire nell'entroterra lucano. Non è esattamente la strada più breve. Ma l'idea di vivere il controesodo su gomma e su rotaia è troppo allettante. Partiamo alle 11 di mattina. Arrivederci Calabria, arrivederci montagne a picco sul mare, arrivederci capocollo e soppressata.

Il traffico non è così terribile, la strada è tranquilla, immersa in una Lucania verdissima, boscosa, pulita da non credere. «La Basilicata o Lucania è la regione più povera d'Italia»: ce l'aveva raccontata così la maestra alle scuole elementari. E l'immagine rimasta negli anni era simile a quella di una Calcutta nostrana. Invece è una sorta di Svizzera piazzata lì per destabilizzare il visitatore. Ora hanno trovato anche il petrolio.

Lungo la strada ci sono bancarelle che vendono grappoli di peperoncini. Un ombrellone colorato, un tavolino, un paio di cestini di more. Penso alla Pontina. Anche da noi ci sono gli ombrelloni colorati ai margini dell'asfalto. Sotto non ci sono more e grappoli di peperoncini.

Il controesodo su queste strade si avverte solo all'autogrill: parcheggio in doppia fila, file interminabili al bagno del ristorante, pochissima fila al bagno del bar-tavola calda (è meno visibile e il viaggiatore da controesodo è sprovveduto e pigro, non si dà da fare per cambiare la sua situazione). Menù completo in offerta - pizza crocchette, coca cola a 5 euro e 90 - consumato su un tavolo di quelli che rimani in piedi e di nuovo in viaggio, attraverso paesini ordinati che neanche in Umbria li vedi così.

Arriviamo a Potenza alle tre del pomeriggio. La città è immobile.

Sembra il set di un film in un giorno in cui non si gira.

Su queste strade pulite e deserte pensi che non potrà mai funzionare il bancomat. Che invece, deciso e diligente, fa il suo mestiere.

Anche la stazione è ordinata, pulita e deserta. Non c'è nessuno. Anzi, no. Il personale delle ferrovie sta all'aperto, vicino ai binari. Una chiacchierata, una sigaretta.

«Scusate, vorrei andare a Latina».

«L'intercity passa alle 17.16»

«Ma c'è posto?»

«Non si preoccupi, in qualche modo lo troviamo. Se viene vediamo insieme»

«Visto che non c'è fretta finisca pure la sua conversazione, io vado al bar»

Cortesie d'altri tempi. La pasticceria di fronte alla stazione è aperta. Ci sono gli specchi con le pubblicità come si usava una volta. Una signora anziana mangia un gelato. Il ragazzo al bancone è gentile, i dolci squisiti.

L'intercity arriva con venticinque minuti di ritardo, che diventeranno sessanta lungo il percorso fino a Latina.

Basta salire quei tre gradini del treno per passare da un mondo sospeso nel sogno alla realtà del vero controesodo.

Il passaggio lungo i vagoni è ostruito da valigie bifamiliari, i vagoni alcuni hanno l'aria condizionata, altri no. C'è chi si accende una sigaretta - è vietato fumare - una ragazza tiene in braccio il suo bel furetto. Che dopo qualche ora deve andare in bagno. Il furetto. Non c'è la cassettina igienica, vanno bene anche i corridoi dell'intercity.

Quanto alla toilette del treno, un bel cartello rassicura che è stata "pulita, disinfettata e controllata il 20 agosto". Siamo al 24 agosto. La parola privacy, grazie all'uso dei cellulari, perde ogni significato su un treno: vengo così a sapere che una signora giovedì prossimo presenterà sul luogo di lavoro un certificato medico falso per poter ripartire venerdì alla volta del Salento, che una ragazza in vacanza a Battipaglia ha rimorchiato e lui è andato anche ad accompagnarla alla stazione, che il marito di una signora è proprio scocciante, visto che continua a chiederle quando arriverà il treno. Fa caldo e tutti hanno sete, una coppia di ragazzi cerca il vagone ristorante. Ma il treno è finito e non l'hanno trovato. A Napoli sale un signore con un secchio di quelli per lavare per terra: dentro ci sono tre Coca cola, due aranciate Fanta, un paio di panini e qualche confezione di Ringo. Viene accolto con larghi sorrisi. La sera scende sui binari e l'intercity arriva a Latina che sono le dieci. È buio. Si scende al binario 2, significa che bisogna fare le scale. Con le valigie bifamiliari. Una signora guarda la passerella, quella che usano quando devono passare da un binario all'altro e non è possibile fare le scale. Guarda a destra e a sinistra: «non arriva nessuno - dice speranzosa - quasi quasi.....». Si ferma in tempo, un Eurostar passa a tremila all'ora.

Sono arrivata a casa. Splendido viaggio da controesodo. Il popolo italiano si dimostra ancora una volta grandissimo. Sono felice di poter dire: c'ero anch'io.

 

 

IL PATTO DI MISAMBOR

     IL PATTO DI MISAMBOR

Pianeta Terra, anno 12065. Dopo millenni di battaglie tra tecnologici, ambientalisti e religiosi viene firmato il Patto di Misambor grazie al quale l’uomo dovrebbe vivere felice e in pace per l’eternità. Infatti per i primi secoli le cose vanno esattamente così. Ma “eternità” è parola grossa da digerire: per questo motivo nel Patto di Misambor vengono inserite due clausole: la prima, richiesta dagli ambientalisti, esige che comunque sia previsto un ciclo nascita-crescita-maturità-vecchiaia. La seconda, richiesta dai religiosi e ben più complessa, sancisce la possibilità della morte. Qualunque essere umano muore nel momento in cui sulla terra nessuno gli vuole più bene.

Non c’è neanche uno straccio di astronave in questo romanzo ambientato tra diecimila anni, né si va a passeggio tra le stelle e tantomeno tra le scimmie. In fondo l’umanità riesce sempre a superare se stessa.

 

Autore: Maria Corsetti

Titolo: Il Patto di Misambor

Editore: Falco Editore

Anno di pubblicazione: 2012

Pagine: 112

Prezzo: 10 euro

Copertina di Lorenzo Moriconi

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