Oggi sono andata al cimitero. No, non ho alcuna intenzione di diventarne ospite fissa a breve, però ho preso questa abitudine, accade così quando il tempo stempera le scomparse più tragiche. Per me è come fare una passeggiata in piazza nel giorno della festa, tra i fiori e le luci, tutti nelle foto sono belli, vestiti bene, pettinati. Con i nomi che brillano sul marmo. Ogni volta che vado al cimitero scovo una tomba nuova, conoscenze al cui funerale avevo partecipato, ma che non sapevo dove fossero sepolte. Il mio circuito si allarga sempre di più, ci passo le mattinate intere.
E poi ho una debolezza innominabile, un vizio inconfessabile, una meschinità tutta mia della quale in fondo non mi vergogno affatto. Mi piace passare di fronte la tomba degli ignavi e lasciargli ipocritamente un fiore sperando che qualcuno noti la scena. Eccoti restituito il sorriso falso con il quale mi salutavi caro ignavo, dopo che avevi tramato alle mie spalle, chiamandoti fuori da ogni responsabilità.
In particolare ce ne ho tre ai quali riservo questo trattamento e a furia di farlo qualcuno mi ha vista e apprezzata per il gesto nobile. Beh, diciamolo, due di loro mi hanno preceduto nell'aldilà per questioni anagrafiche, al terzo è andata un po' peggio, ma che ci puoi fare. Io di certo nulla. Non si augura del male a nessuno? Via, questa è ipocrisia vera. Il male si augura eccome, ma per me ci sono regole da rispettare. Non l'ho mai augurato a uomini e donne per questioni amorose: l'amore è un'emozione fatta di scommesse, di sfide. Se ti metti in gioco devi essere anche disposto a perdere.
Chi invece non va perdonato (e, stando alla Divina Commedia, non viene perdonato neanche nell'alto dei cieli) è l'ignavo schifoso, complice occulto di chi ti trama contro. L'ignavo non ha coraggio e capacità sufficienti, alla fine si fa male da solo. Ma intanto ti ha dato molto, molto fastidio.
Quando miei tre ignavi sono crepati per il loro funerale ho acquistato ogni volta un abito nuovo di gran marca. Grigio fumo di Londra, verde petrolio, blu navy. Sono andata dal parrucchiere, mi sono fatto fare un trucco leggero e perfetto dall'estetista. Sono arrivata in anticipo davanti alla chiesa, ho salutato tutti, ho seguito con apprensione la cerimonia funebre, ho pettegolato con discrezione, sottolineando il mio assoluto dispiacere per quanto accaduto, mentre la bara prendeva la strada del camposanto.
Dicevo, tre ignavi sono passati a miglior vita, il quarto è ancora in circolazione. Per il suo funerale avrei già acquistato un magnifico cappotto color marrone bruciato, ma non è detto che il mio amico levi il disturbo d'inverno. Certo, mi farebbe comodo avere già cosa indossare, però considerato come vive tutto sommato sono contenta di poterlo incontrare e scambiare con lui quattro chiacchiere. Cioè, io parlo e lui sta zitto, mi guarda e basta. Se non è rimbambito del tutto, mi maledirà ogni secondo. Gli ricordo i vecchi tempi, quando aveva l'uso delle gambe e della parola. Gli ricordo i suoi amici che ci hanno lasciato e, mentre penso che a quei tre inutili sarebbe piaciuto tutto sommato vivere un po' di più regredendo alla dimensione di bimbi da accudire, aggiungo: «dai che tu sei stato più fortunato». Sono sicura che se mi dovesse cogliere anche solo un millesimo degli accidenti che mi manda, rimarrei fulminata all'istante. Ma siccome sto ancora arzilla in piedi di fronte a lui non mi nego l'ultima infame delizia: «Un giorno di questi ti accompagno a trovarli al cimitero».