Dai Monti Lepini puoi affacciarti direttamente sul mare. Da Cori di notte la valle è una distesa di luci, che finisce nel buio del mare. Da Maenza vedi come era questa terra qualche glaciazione fa. Vedi il mare che entrava tra le montagne. Vedi come questa distesa piatta poteva essere nulla più che un proseguimento del mare. Faceva caldo e il clima era tropicale. Il Circeo era popolato da bestie africane.
C'è stato anche un momento in cui tutto era più freddo e a Ponza e Palmarola potevi quasi arrivarci a piedi. Pensa se quel mare che vedi oggi così azzurro sparisse all'improvviso e al suo posto ci fosse una steppa. Pensa ai vulcani imperiosi dei Castelli Romani. Qualcosa della loro energia è rimasto se quando arrivi da quelle parti tutto sembra avere un colore più forte.
Il mare è ancora più infinito se lo guardi dall'alto. Ad agosto è ancora estate, ma la campagna si sta preparando all'autunno. I grappoli d'uva sono già gonfi. I rovi sono pieni di more.
La bocca di S. era diventata nera a forza di mangiare more. Nere le labbra e il contorno delle labbra. Alle dieci di mattina il sole è molto alto e il cielo troppo chiaro per definirlo azzurro. Le mani di S. erano diventate nere per raccogliere le more che andavano a finire nel cestino di ramoscelli intrecciati.
Le foglie di fico evitavano che le more si rovinassero a contatto con il cestino. Alle dieci fa caldo e se sei salito in alto senti l'odore della mentuccia, la cerchi, la cogli e la metti nel cestino. Le mani sono nere e odorano di mentuccia. Non c'è una fonte, nulla a cui bere, sotto un grosso olivo cerchi un po' di fresco.
L'olivo è un albero lavoratore, non si ingegna per mettere su una chioma fitta per dare ristoro, l'olivo è essenziale. Poggiata la schiena al fusto dell'olivo non senti meno caldo, ma puoi guardare la pianura con calma. Le macchine che corrono sulle migliare piatte, i fiumi che corrono ai lati delle migliare e più in fondo la città con le sue case, i suoi palazzi, i suoi uffici. Le fabbriche, o le loro rovine, disperse nella campagna. Il filo tracciato dall'Appia. La ferrovia.
"Tutto questo era mare" pensò S. Pensò a Latina come a una piccola Olanda. Pensò alla storia che aveva raccontato la maestra alle elementari di quel bambino olandese eroico che mise il suo ditino nel buco della diga per evitare che la falla si facesse più grande e morì mentre aspettava che qualcuno venisse ad aiutarlo a reggere il mare.
"Per quanto - si chiese S. - un bambino ce la farà a reggere il mare che guarda Latina? Se quel bambino adesso si stanca e decide di andare a giocare, il mare sommergerà tutto. Arriverà di nuovo sotto Maenza e il Circeo si potrà raggiungere solo in barca"
Il sole era altissimo, il cielo talmente chiaro da sembrare bianco. Senza fare rumore il mare all'orizzonte cominciò a ingrossarsi. Piano piano la spiaggia scomparve.
Il lago Fogliano si ricongiunse al mare. Il mare scese fino alla città. Molto lentamente e placidamente. Una carezza bagnata e fresca in una mattina di agosto. S. guardava dall'alto questa massa celeste che avanzava tranquilla.
Il mare arrivò all'Appia e alla ferrovia. Terminò la sua passeggiata a Doganella. Il sole era altissimo, il cielo era diventato azzurro come il mare nel quale si rifletteva. Si erano ormai fatte le due e il mare si era assestato nel suo antico alveo.
La gente della montagna guardò il mare sotto di sé come si guarda una persona cara che non si vede da tanto tempo e alla quale non si sa cosa dire. Il sole iniziò a scendere. Si faceva sempre più grande, tuffandosi nel mare diventato così grande. Arrivò la notte e dalle colline pensarono che avrebbero visto solo il nero del mare e non più le luci della città. Ma quella notte la luna e le stelle si fecero più vicine e si specchiarono nel mare che diventò una distesa di luci come il cielo.
Nella sua casetta persa nelle montagne, S. offriva more e mentuccia a L. "Guarda la luna" disse.
Uno sull'altra, guardando ognuno la sua luna.