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FiloLogico, romanzo spicciolo - Cap. V

La vita in una matrioska

Lo sperimento ogni volta che un impeto di buona volontà mi porta a sistemare casa: vivo in una matrioska. Ogni angolo si replica all’infinito, ci sono tante di quelle cose che ti chiedi perché ce l’hai, perché le hai comprate, perché ti ostini a mantenerle. Si parte dal terrazzo: è primavera e sarà meglio preparare i vasi per il basilico e l’erba cipollina che d’estate quando torni a casa non hai niente, ma dico niente, da mangiare, un tozzo di pane scongelato, un ciuffo di basilico ed erba cipollina, olio e sale ti salvano dal farti un’idea pessima di te stessa. I vasi sono quelli dell’anno scorso. Realizzo subito che me ne occorrono cinque di meno di quelli a disposizione. Volenterosamente prendo i vasi inutili e li vado a mettere nel ripostiglio. Dove scopro un giacimento di vasi. Non ho mai avuto né il pollice verde, né il pallino per la botanica: perché ho tutti quei vasi? Saranno più di cinquanta euro di roba, non era meglio che ci compravo un vestito? Alt! No, non compro nessun vestito se prima non mi libero di qualche capo dimenticato da anni. Nell’armadio dell’ingresso, quello dove tengo i capi più pregiati, è alloggiata una gonna stile kilt della Jeans west. La Jeans west, l’antesignana della Benetton, quella che aveva come marchio tre cavallini, uno verde, uno bianco e uno rosso. Però, che magnifica trasversalità culturale. Il nome così americano della marca, con i tre cavallini al galoppo evocativi appunto del west, però tricolori, il modello della gonna scozzese: il tutto frutto del lavoro del mitico nord est italiano che alla fine degli anni ’70 si scopriva in odor di benessere. Frequentavo il quarto ginnasio quando l’ho acquistata e non ho fatto tutti questi ragionamenti. Portavo neanche la taglia 40 e pensare che oggi mi possa entrare è da ricovero.

Più recente, ma già con qualche lustro alle spalle, è una lunga gonna di jeans della Sisley. Idea: uso la stoffa delle due gonne per confezionare cuscini e plaid usando la tecnica del patchwork. Così potrò dare un tocco provenzale alla mia casa. Adesso considerato che non riesco neanche a infilare il filo nell’ago, come fa a venirmi in mente di darmi al patchwork.

 

Ben nascosto tra armadi e cassetti c’è un esercito di pupazzi, bambole e peluche. Ogni tanto la furia epuratrice mi porta a fare lavatrici intere di pupazzi, che poi metto ad asciugare reggendo con una molletta per un orecchio e quindi regalo a qualcuno che sa sempre a chi darli. Nonostante questo affiorano pupazzi in ogni angolo. Quando sto per fargli il foglio di via sopraggiunge l’animo infantile che me lo impedisce.

I pupazzi della mia infanzia: l’orso Teddy, due gigantogatti di cui non mi ricordo il nome, un secondo orso Teddy più grande del primo.

I pupazzi della mia adolescenza: un piccolo Snoopy.

I pupazzi dei miei vent’anni: un maialino rosa stretto a me con amore finché il donatore di pupazzo si è rivelato un maiale meno simpatico dell’omologo in peluche e in cerca di troppe porcelline.

I pupazzi dopo i trent’anni: un cagnolino che il donatore voleva far precedere a un cane in carne e ossa in un momento della mia vita che era proprio impensabile averlo. Quando spieghi questa cosa ti guardano delusi: tu, che ami tanto gli animali. Sì, ma se è impossibile, è impossibile. Quindi una pecorella pasquale carina e che mi è stata regalata su espressa richiesta. L’ultimo acquisto risale a due settimane fa: ho rapito un orso da un ufficio. Mi piaceva troppo, ho eluso la sorveglianza e me lo sono portato a casa (ho messo al corrente il proprietario che non aveva più un orso). Adesso, a 46 anni, a che mi serve un orso?

Le foto, le lettere, i bigliettini. Odio chi si conserva tutto. C’è un pudore nei ricordi. Alcune cose è meglio far finta che ce le siamo dimenticati tutti. È sopravvissuta qualche foto di coppia. Confesso che l’ho tenuta solo perché io sto molto bene. Non voglio arrivare a tagliare in due la foto, ma se mi serve spazio….

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IL PATTO DI MISAMBOR

     IL PATTO DI MISAMBOR

Pianeta Terra, anno 12065. Dopo millenni di battaglie tra tecnologici, ambientalisti e religiosi viene firmato il Patto di Misambor grazie al quale l’uomo dovrebbe vivere felice e in pace per l’eternità. Infatti per i primi secoli le cose vanno esattamente così. Ma “eternità” è parola grossa da digerire: per questo motivo nel Patto di Misambor vengono inserite due clausole: la prima, richiesta dagli ambientalisti, esige che comunque sia previsto un ciclo nascita-crescita-maturità-vecchiaia. La seconda, richiesta dai religiosi e ben più complessa, sancisce la possibilità della morte. Qualunque essere umano muore nel momento in cui sulla terra nessuno gli vuole più bene.

Non c’è neanche uno straccio di astronave in questo romanzo ambientato tra diecimila anni, né si va a passeggio tra le stelle e tantomeno tra le scimmie. In fondo l’umanità riesce sempre a superare se stessa.

 

Autore: Maria Corsetti

Titolo: Il Patto di Misambor

Editore: Falco Editore

Anno di pubblicazione: 2012

Pagine: 112

Prezzo: 10 euro

Copertina di Lorenzo Moriconi

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