Due giorni di studio dedicati al teatro contemporaneo. Missione non impossibile, impresa non da poco. Una maratona di conferenze e relazioni, due giorni alti e difficili. Da organizzare e da seguire. Notevole l’obiettivo: portare a Latina le giornate dedicate ad Angela Paladini Volterra, la studiosa del teatro moderno e contemporaneo scomparsa nel 2008. A cura dell’Università degli Studi di Tor Vergata, in collaborazione con il Clici, con la direzione scientifica di Rino Caputo, Luciano Mariti e Florinda Nardi, con il coordinamento di Paola Benigni e il grande contributo di Valeria Vignes e Paola Populin. Ad ospitare l’evento è stato l’auditorium del Liceo Classico Dante Alighieri.
E il pubblico? Sintonizzato? Il pubblico è stato molto serio e seguire non era facile. Mancava, è vero, il grande pubblico, ma davvero si trattava di evento per addetti ai lavori. Ottima la presenza degli insegnanti dei licei che nei giorni precedenti avevano peraltro seguito tre incontri propedeutici. C’erano anche alcuni classi di liceali: bravissimi studenti, educati e composti, che si sono ingoiate le due giornate in maniera appassionata presentando anche i loro lavori nella mattina di sabato.
Gli atti del convegno saranno pubblicati in un volume, ma, a lavori finiti, la domanda è: ne siamo usciti meno ignoranti? Forse no, anche per la difficoltà di tenere a mente una mole enorme di materiale.
I convegni, quelli veri come questo, non quelli finti di due ore tanto per…, si fanno per raccogliere e organizzare materiale, ma anche per smuovere qualcosa dentro, che è trovarsi di nuovo innamorati del teatro anche se lo si ama già.
O avvicinarsi di nuovo al teatro anche se in quinto ginnasio si è rimasti traumatizzati dai Sei personaggi in cerca d’autore, che fanno sempre vedere quello ai quindicenni, dimenticando del tutto che per lo stesso Pirandello arrivare ai Sei personaggi è stato un percorso. Se il percorso l’ha fatto il drammaturgo, perché non deve farlo lo spettatore?
In chiusura il brivido. Perché cosa c’è di più contemporaneo di un mito greco? In quel mondo dal tempo dilatato, più vicino all’inizio dell’uomo che ai nostri giorni, in quel mondo in cui la preistoria cedeva il passo alla storia, a una storia scandita dalle passioni di divinità troppo speso liquidate come “antropomorfe”, come se questa parola bastasse a definirle. E dopo aver ascoltato per ore e ore interventi, riflessioni sul teatro contemporaneo, ti ritrovi a capire che sta sempre tutto lì, in quella esplorazione e se vogliamo anche codificazione dell’animo umano intuita dai greci qualche migliaio di anni fa in un mondo diventato oggi impossibile da comprendere.
Il mito di Callisto nel testo scritto e narrato, secondo l’esperienza dell’O Thiasos TeatroNatura, da Sista Bramini accompagnata dalle polifonie tradizionali est europee arrangiate da Francesca Ferri eseguite dal vivo da Camilla Dell’Agnola, Valentina Turrini, Francesca Ferri. Detto così è da locandina. Detto come l’ho sentito: Sista Bramini ha interpretato il mito e il coro ha assolto alla sua funzione antica, è stato il battito del cuore della narrazione, ha accompagnato l’animo nelle sue oscurità.
Nel mito di Callisto c’è la storia dell’uomo e c’è la storia delle donne prima. C’è la brutalità del desiderio, la vittima che diventa colpevole per tutti. E quale era la vera colpa di Callisto? La sua vanità di inseguire la cerva, allontanandosi. Quell’ignoto che gli dei puniscono a catena. Non sei pura anche se hai perso la purezza per colpa di un dio senza scrupoli, fosse anche il padre degli dei. Sei una traditrice anche se di quel tradimento non hai colpa. Non puoi vedere tuo figlio, il figlio del peccato. Ma poi l’orrore della punizione è così grande che fa orrore anche agli dei stessi che finiscono per sublimare il dolore racchiuso in uno sguardo che nel momento più terribile si fa amore.
E si ricomincia da qui, da quella passione che ci prese nel V secolo quando Pericle decise di rimborsare il biglietto d’ingresso affinché tutti potessero andare a teatro.
Perché se non si ricomincia da qui non si arriverà mai a capire Clelia Falletti che racconta della sua esperienza con Eugenio Barba e l’Odin Teatret.
Perché se non si ricomincia da qui continueranno a portare pullman pieni di quindicenni a vedere Sei personaggi in cerca d’autore, senza dirgli nulla di tutto quello che è accaduto prima.
P.S: si sarà capito che mi hanno propinato i Sei personaggi in quinto ginnasio. Così, a crudo. Fortunatamente la mia attrazione fatale verso Pirandello mi ha portato negli anni successivi a leggerlo per conto mio, a vederlo rappresentato per conto mio.
Poi, dopo un lungo percorso ho assistito a una straordinaria messa in scena di Carlo Cecchi dei Sei personaggi. Ed è stata una delle cose più belle che abbia mai visto.