Ma se tu, magistrato, sei davvero convinto che Giovanni Scattone sia arrivato all’università con una pistola in tasca e si sia messo a giocare a tirassegno con gli studenti (stile il nazista di Schindler's List, tanto per dare un’idea), ma in coscienza tu, magistrato, ritieni che la pena da applicare sia l’omicidio colposo? La questione è, ora come allora, tutta qui.
Perché la condanna per omicidio colposo sembra non tanto la fictio iuris alla quale si arriva dopo pensamenti e tormenti, ma un compromesso dell’Italia più piccola, quella che comunque una risposta la deve dare. E allora: io sono convinto che quella povera ragazza l’hai uccisa tu, ma siccome non ho le prove, ma solo qualche indizio, forse perché ci sarebbe qualcosa da dire sulle indagini, ma non posso dirla, siccome un colpevole dopo anni e milioni spesi debbo pur darlo se non altro per dare una risposta a una famiglia disperata, ti condanno. Ma non a un ergastolo di quelli che si butta via la chiave perché oltre a essere colpevole sei potenzialmente ancora molto pericoloso, ma per omicidio colposo che, tutto sommato, è sempre una condanna. Che però, siccome non ho le prove, è una condanna attenuata. Assolverti no, mi serve un colpevole.
Ok, omicidio colposo. Diciamo anche con una colpa grave. Ma colpa.
Giovanni Scattone la espia, studia, sostiene un concorso. A questo punto dovremmo tutti avere la decenza di starci zitti. Ovviamente la famiglia di Marta Russo è esentata. Hanno perso una figlia nel luogo dove ogni genitore sta tranquillo quando sa che il figlio sta lì, coiè l’Università. Il loro è l’urlo di ogni genitore al cospetto di un destino crudele e incomprensibile. Che peraltro nessuno ha saputo spiegargli nella dinamica. Cioè gli hanno detto che un ragazzo è andato all’università con una pistola in tasca e per disattenzione gli ha ucciso la figlia.
Assolvere Scattone? Troppa impopolarità.
Boh