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FiloLogico, romanzo spicciolo - Cap.VII

Dietro il sorriso niente

Resa nobile da una parola che sa di saggezza, compromesso, l’arte di saper adeguarsi al forte del momento è sottile. Un romanzo spicciolo è costellato da personaggi che sono il perfetto connubio tra un camaleonte e una sfinge. Granitici eppur mutevoli. L’espressione è sempre la stessa, ma sanno rivolgerla alla persona giusta al momento giusto.  Abolita la parola “rivoluzione”, consapevoli che ne riescono ben poche, ma ancor di più la parola “riforma”,  evocatrice di cambiamenti inesorabili, guardano avanti la loro strada, facendo ben attenzione a non dare un’occhiata in giro. Non gli interessa, potrebbe provocargli un fastidio di coscienza e quindi la noia di farselo passare.

 

I deboli. Non quelli che per un accidente della vita sono in oggettiva difficoltà. Ma quelli che si definiscono “deboli”, anzi per sublimare il concetto “sensibili”.  Quelli che per loro stessa definizione soffrono più degli altri. Ma che ne sanno loro di quanto soffrono gli altri? L’idea che si possa non manifestare il proprio dolore per un senso di dignità non li sfiora. Abolita l’ipotesi del pudore, di quell’intimità con se stessi che riesce a far grandi le persone più piccole.  

 

Erich Fromm si poneva domande sull’avere e sull’essere. Da qualsiasi parte si decida di stare avere è sempre meno peggio che apparire. Cioè se uno una cosa ce l’ha, ce l’ha. Se partiamo da presupposto dell’origine lecita di quel possesso, colui che ha può anche sembrare meno nobile di colui che è, ma comunque si qualifica con un avere.

L’apparire è diverso. E poiché si dice che Latina sia la città dell’apparire, prendo in considerazione il fenomeno.

Cosa significa apparire? Indossare la borsetta falsa di Louis Vuitton facendola passare per vera? No, in questo caso le vere maestre sono le donne della città eterna. A Latina ci facciamo scuoiare, ma se deve essere Louis Vuitton che autentico sia. Altrimenti ripieghiamo su accessori meno costosi, ma il tarocco non ci piace moltissimo. Tranne che…tranne che non sia proprio identico identico. Ma identico. Pare ci sia un mercato parallelo di scarpe. Non ho mai capito perché dovrebbe essere un affare acquistarne un paio in circostanze losche a 120 euro piuttosto che a 200 in un negozio che se per caso ti rifila un falso lo puoi sempre denunciare. Cioè, il risparmio non è eclatante.

Di pensare solo ad apparire ci accusano gli altri, quelli che non sono di Latina. Dicono che pensiamo solo a farci guardare. Che c’è di male? Che c’è di male a indossare un abito buono, ad avere capelli, mani e viso curato? “Essere” mica significa essere sciatti.

 

Orgogliosa alla guida della mia Panda arancione a metano, non temo confronti. Tanto andare veloci serve a prendere multe. Quando va bene. L’arancione metallizzato della mia Panda riluce in una giornata di sole: devo girare a sinistra su un nastro d’asfalto drittissimo. In lontananza sta arrivando un furgone, cammina comodo comodo, ho tutto il tempo di girare a sinistra prima che arrivi. Inchiodo all’improvviso, terrorizzata, da dietro il furgone è spuntato a una velocità folle un motociclista. Ci manca poco che mi prende in pieno. Tra i due non si sarebbe salvato nessuno. E mentre sudo ancora freddo nonostante sia agosto quell’imbecille in moto mi raggiunge e inizia a dirmene di tutti i colori. Ho davanti la persona che cinque minuti prima stava per ammazzarmi. Vorrei strangolarlo con le mie mani, ma la strada è deserta e questo è uno squilibrato. Vestito da perfetto motociclista, nessuno gli ha spiegato che quella non è una pista, ma una strada tra le campagne della pianura pontina dove il limite medio di velocità è di 60 all’ora.  Nessuno glielo ha spiegato, ma qualcuno gli ha dato la patente e poi la moto. Probabilmente nessuno gli ha detto, quando è uscito di casa: «Ma dove vai vestito da scemo». Voleva apparire, voleva essere il super in moto delle migliare.

L’apparire è più pericoloso dell’avere.

 

In questa panoramica di umanità talmente spicciola che se te la danno di resto al supermercato la lasci alla cassa, non può mancare il figo d’occasione. A differenza dalle precedenti figure è un innocuo, un cialtrone anche simpatico, basta non abusare della sua compagnia. Dietro il sorriso niente, sa essere galante, ma impazzisce per fare lo sbruffone. Se il lavoro lo richiede indossa la giacca e la cravatta che però toglie la sera: l’uomo dalla camicia sbottonata sa di uomo che ha prodotto durante il giorno e ora si gode il meritato confort. La domenica non si sfugge: tuta da ginnastica. Felici di evitarla. La ginnastica.

IL PATTO DI MISAMBOR

     IL PATTO DI MISAMBOR

Pianeta Terra, anno 12065. Dopo millenni di battaglie tra tecnologici, ambientalisti e religiosi viene firmato il Patto di Misambor grazie al quale l’uomo dovrebbe vivere felice e in pace per l’eternità. Infatti per i primi secoli le cose vanno esattamente così. Ma “eternità” è parola grossa da digerire: per questo motivo nel Patto di Misambor vengono inserite due clausole: la prima, richiesta dagli ambientalisti, esige che comunque sia previsto un ciclo nascita-crescita-maturità-vecchiaia. La seconda, richiesta dai religiosi e ben più complessa, sancisce la possibilità della morte. Qualunque essere umano muore nel momento in cui sulla terra nessuno gli vuole più bene.

Non c’è neanche uno straccio di astronave in questo romanzo ambientato tra diecimila anni, né si va a passeggio tra le stelle e tantomeno tra le scimmie. In fondo l’umanità riesce sempre a superare se stessa.

 

Autore: Maria Corsetti

Titolo: Il Patto di Misambor

Editore: Falco Editore

Anno di pubblicazione: 2012

Pagine: 112

Prezzo: 10 euro

Copertina di Lorenzo Moriconi

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