Bello, gradevole, indovinato. E queste non sono novità.
Alla sua trentesima edizione il Concerto di Capodanno di Latina, una vera tradizione del pomeriggio del primo gennaio, si presenta al pubblico nella sala gelata del Teatro D’Annunzio. Ma il freddo non fa alzare nessuno dalle poltrone, in fondo basta mantenere addosso il cappotto, al resto ci pensa la musica. L’Orchestra Roma Classica, diretta dal Maestro Benedetto Montebello, dà il benvenuto al 2017 e tutti sono contenti. Si percepisce dagli applausi, dal tono che hanno. Perché gli applausi hanno un tono, davvero non sono sempre uguali. Qui sono sinceri, fragorosi in maniera schietta dopo ogni brano. Talmente entusiasti che c’è un attimo in cui sta partendo qualcosa fuori tempo, ma rientra subito nelle righe, anche se in certe occasioni è anche bello applaudire a metà.
Finisce il concerto e ad andare fuori dalle convenzioni è l’orchestra che accompagna l’uscita del pubblico con un graditissimo bis della Marcia di Radetzky. E poi i fiori, un bell’addobbo di stelle di Natale, il saluto appropriato del sindaco Damiano Coletta, arrivato puntuale e rimasto fino alla fine, il brindisi con pandoro e datteri nel grande foyer, la presenza di Teresa e Riccardo Cerocchi a ricordare che c’è una Latina che ha fatto tanto e continua a fare.
Un inizio all’insegna dell’estetica a ogni livello.
E, se può intristirmi, ora che ho varcato la metà del secolo, finire catalogata tra gli spettatori più giovani, penso che i ragazzi stavano ancora smaltendo la loro esuberanza di San Silvestro. In fondo è giusto che sia così.
Gli imprenditori? L’ultima parola è per loro perché il concerto viene definito nella brochure “Un ponte tra imprese e musica”. Anche qui non è una novità che Federlazio sostenga l’evento, e che ogni anno lo faccia attraverso una cordata di imprese, ricordate tutti nella brochure. E da lì si può leggere una imprenditoria che va avanti a testa alta, tra crisi e ripensamenti, tra chi ci crede ogni anno, chi inizia a crederci e chi ha smesso di farlo perché forse il malessere è più grande.